2015-10-29
E’ in arrivo in Italia un disegno di legge collegato alla Legge di stabilità 2016 che promuove e intende regolamentare lo smart working (detto anche “lavoro agile”), ossia l’attività lavorativa fuori dalla sede di lavoro.
Il fenomeno, già utilizzato in larga misura dalle grandi aziende, è sinora poco praticato dalle medie e piccole imprese: il motivo? Spesso si ritiene che la presenza sul posto di lavoro sia un elemento indispensabile per svolgere al meglio i compiti individuali.
Lo smart working può essere attivato concedendo al personale la possibilità di lavorare da casa, o comunque fuori dall’azienda, anche solo un giorno alla settimana e svolgere i propri compiti con collegamenti in remoto sui sistemi informatici aziendali.
La formula di flessibilità del lavoro dovrà essere mirata a valutare i risultati dei lavoratori e non il tempo e il luogo fisico dove essi operano.
I vantaggi dell’applicazione dello smart working sono di diversa natura: dalla probabile riduzione dell’assenteismo, alla riduzione dello stress connesso agli spostamenti casa-lavoro, non dimenticando che lavorare in un ambiente più rilassato può generare migliore e maggiore produttività.
Di contro, si ritiene che tale formula lavorativa dovrà essere ben regolamentata e sottoposta a condizioni particolari, quali la garanzia che l’ambiente dove viene svolta l’attività quali la propria abitazione, coworking (luoghi di lavoro condivisi) rispondano alle misure minime di sicurezza di cui al D.Lgs. 81/2008, che i computers utilizzati per i collegamenti in remoto con l’azienda siano protetti da antivirus e, non in secondo piano, che siano assicurate all’azienda le tutele in materia di trattamento e conservazione dei dati (Legge Privacy 196/2003).
Con buona probabilità, oltre alle disposizioni legislative che seguiranno in materia, si renderà opportuno regolamentare lo smart working all’interno della contrattazione di II° livello.
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